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  • Vittorio A. Dublino

l’Arte di Ottenere Ragione nella DIALETTICA ERISTICA

La Dialettica Eristica. Ovvero come discutere con l’Arte di disputare in modo da ottenere ragione con mezzi leciti e illeciti.

Per gli studiosi e gli oratori antichi, Logica e Dialettica erano comunemente intesi come sinonimi, anche se (in greco) Logica significa > considerare, calcolare; mentre Dialettica > conversare:  due cose molto diverse.

Questa similitudine concettuale tra le due parole è stata mantenuta fino ad oltre il medioevo, fino a quando, nei tempi moderni, Kant intese la ‘Dialettica’ come qualcosa di ‘negativo’ (come ‘Arte della Controversia Sofistica’) preferendogli la ‘Logica’ come la Scienza delle Leggi del Pensiero (cioè del Metodo della Ragione). Dunque, la logica, quindi, come scienza del processo della pura ragione, dovrebbe essere costruita ‘a priori’. Mentre  la dialettica, per la maggior parte, potrebbe essere costruita solo ‘a posteriori’: vale a dire possiamo apprenderne significato e regole solo mediante una conoscenza esperienziale del disturbo che il pensiero puro (la Logica, la Verità) soffre attraverso le differenze individuali manifestate da due esseri razionali in disputa tra loro.

Quindi, che cosa è la DIALETTICA ERISTICA?

 

La Dialettica Eristica è l’Arte di disputare

 

Arthur Schopenahuer nella suo saggio  “l’Arte di ottenere ragione” ci offre una esauriente e molto attuale definizione di Dialettica Eristica.

” … precisamente è l’arte di disputare in modo da ottenere ragione, dunque per fas et nefas [con mezzi leciti e illeciti].

Si può infatti avere ragione oggettivamente nella cosa stessa, e tuttavia avere torto agli occhi dei presenti e talvolta perfino ai propri.

Ciò accade quando l’avversario confuta la mia prova, e questo vale come se avesse confutato anche l’affermazione, della quale però si possono dare altre prove; nel qual caso, naturalmente, per l’avversario la situazione si presenta rovesciata: egli ottiene ragione pur avendo oggettivamente torto. Dunque, la verità oggettiva di una proposizione e la validità della medesima nell’approvazione dei contendenti e degli uditori sono due cose diverse. (A quest’ultima è rivolta la dialettica).

Da che cosa deriva tutto questo? Dalla naturale cattiveria del genere umano. Se questa non ci fosse, se nel nostro fondo fossimo leali, in ogni discussione cercheremmo solo di portare alla luce la verità, senza affatto preoccuparci se questa risulta conforme all’opinione presentata in precedenza da noi o a quella dell’altro: diventerebbe indifferente o, per lo meno, sarebbe una cosa del tutto secondaria. Ma qui sta il punto principale.

L’innata vanità, particolarmente suscettibile per ciò che riguarda l’intelligenza, non vuole accettare che quanto da noi sostenuto in principio risulti falso, e vero quanto sostiene l’avversario. Se così fosse, ciascuno non dovrebbe fare altro che cercare di pronunciare soltanto giudizi giusti: quindi dovrebbe prima pensare e poi parlare.

Ma, nei più, all’innata vanità si accompagna una loquacità e una slealtà connaturata.

Essi parlano prima di avere pensato, e se anche poi si accorgono che la loro affermazione è falsa e hanno torto, deve nondimeno apparire come se fosse il contrario. L’interesse per la verità, che nella maggioranza dei casi è stato l’unico motivo per sostenere la tesi ritenutamvera, cede ora completamente il passo all’interesse della vanità: il vero deve apparire falso e il falso vero. Tuttavia anche questa slealtà, anche l’insistere su una tesi che già a noi stessi appare falsa, può trovare una scusante: molte volte, all’inizio siamo fermamente convinti della verità della nostra affermazione; ma ora l’argomento dell’avversario sembra rovesciarla: abbandonando però subito la nostra causa, spesso ci accorgiamo poi che avevamo invece ragione; la nostra prova era falsa, ma per quella affermazione era possibile darne una giusta: l’argomento risolutore non ci era venuto in mente subito. Perciò, si afferma ora in noi la massima di continuare ugualmente a combattere contro l’argomento contrario, anche quando esso appare giusto e decisivo, confidando sul fatto che la sua pertinenza sia anch’essa soltanto apparente, e che durante la disputa ci verrà in mente un altro argomento per rovesciarlo, oppure per confermare altrimenti la nostra verità: siamo così quasi costretti, o almeno facilmente indotti, alla slealtà nel disputare.

In questo modo, la debolezza del nostro intelletto e la stortura della nostra volontà si sorreggono a vicenda. Ne deriva che, di regola, chi disputa non lotta per la verità, ma per imporre la propria tesi, come pro ara et focis [per la casa e il focolare], e procede per fas et nefas, perché, come si è mostrato, non può fare diversamente. Dunque, di regola ciascuno vorrà far prevalere la propria affermazione, anche quando per il momento gli appare falsa o dubbia; e i mezzi per riuscirvi sono, in certa misura, offerti a ciascuno dalla propria astuzia e cattiveria: a insegnarli è l’esperienza quotidiana nel disputare.

Ciascuno ha dunque la propria dialettica naturale, così come ciascuno ha una propria logica naturale. Ma la prima non è una guida altrettanto certa della seconda. Nessuno penserà o inferirà tanto facilmente contro le leggi della logica: falsi giudizi sono frequenti, falsi sillogismi estremamente rari. Perciò, non capita tanto facilmente che qualcuno mostri una deficienza di logica naturale; capita, invece, di riscontrare deficienze nella dialettica naturale: quest’ultima è una dote naturale distribuita in modo diseguale (in ciò simile alla facoltà del giudizio, spartita in maniera assai diseguale, e lo stesso capita in realtà anche per la ragione).

Infatti, accade spesso che ci si lasci confondere e confutare da argomentazioni solo apparenti,

mentre in realtà si ha ragione, oppure il contrario: e chi esce vincitore da una disputa molto spesso lo deve non tanto all’esattezza del suo giudizio nell’esporre la propria tesi, quanto all’astuzia e alla destrezza con cui l’ha sostenuta. Qui, come sempre, la cosa migliore è ciò che è innato: tuttavia l’esercizio e anche la riflessione sulle frasi con cui demolire l’avversario, o quelle da lui più adoperate per demolire, possono essere di grande aiuto per diventare maestri in questa arte.

Dunque, anche se la logica non può avere una vera e propria utilità pratica, può senz’altro averla la dialettica. Mi sembra che anche Aristotele abbia posto la sua logica (analitica) principalmente come base e preparazione alla dialettica, e che questa sia stata per lui la cosa capitale. La logica si occupa della mera forma delle proposizioni, la dialettica del loro contenuto o materia: proprio per questo la considerazione della forma, in quanto considerazione dell’universale, doveva precedere quella del contenuto in quanto considerazione del particolare.”

Quali sono quindi i modi e i metodi che ci suggerisce Schopenhauer? Facciamoci aiutare da Wikipedia.

Modi e metodi

Il punto di partenza è una tesi avanzata da noi o dal nostro avversario. Per confutarla Schopenhauer individua questi percorsi:

  1. Modi:

  2. ad rem (verità oggettiva): la tesi è o non è in accordo con una verità oggettiva, per esempio “il cielo è blu”;

  3. ad hominem o ex concessis (verità soggettiva): la tesi contraddice una affermazione precedente di colui che l’ha enunciata.

  4. Metodi:

  5. confutazione diretta per attacco dei fondamenti:

  6. confutazione dei fondamenti,

  7. confutazione delle conseguenze;

  8. confutazione indiretta per attacco delle conseguenze:

  9. confutazione per una conseguenza falsa (ad rem o ad hominem),

  10. confutazione per dimostrazione di casi contrari.

Gli Stratagemmi

Arthur Schopenhauer nel suo trattato “L’arte di ottenere ragione” (a prescindere dalla verità o falsità dell’oggetto della disputa),  esamina 38 stratagemmi (e relative contromosse) per difendere la propria ragione in una disputa oppure per ottenerla nel caso in cui questa stia dalla parte dell’avversario.

  1. Ampliamento: interpretare l’affermazione dell’avversario nel modo più generale possibile, restringendo invece la propria.

  2. Omonimia: estendere l’affermazione presentata dall’avversario a qualcosa che, oltre al nome uguale, non ha nulla in comune con l’argomento in questione.

  3. Generalizzazione: trattare l’affermazione dell’avversario con valore relativo (particolare) come se avesse un valore assoluto (universale).

  4. Occultamento: presentare le premesse alla propria conclusione una alla volta, in modo che l’avversario le ammetta senza accorgersene.

  5. False proposizioni: usare tesi false ma vere ad hominem, sfruttando i preconcetti e pregiudizi dell’avversario.

  6. Dissimulazione di petitio principii: postulare ciò che si dovrebbe dimostrare.

  7. Metodo socratico o erotematico: porre domande adeguate all’avversario e ricavare la verità della propria affermazione dalle stesse ammissioni dell’avversario.

  8. Provocazione: suscitare l’ira dell’avversario per confonderlo.

  9. Confusione: porre all’avversario domande in un ordine diverso da quello nel quale se le sarebbe aspettate.

  10. Ritorsione delle negazioni dell’avversario: se l’avversario intenzionalmente risponde in modo negativo a tutte le domande, chiedere il contrario della tesi di cui ci si vuole servire.

  11. Generalizzazione dell’inferenza: se l’avversario accetta la verità di fatti particolari dare per scontato che abbia accettato anche l’universale relativo.

  12. Metaforizzare: scegliere sempre metafore e similitudini favorevoli alla propria affermazione, introducendo nella definizione ciò che si vuole provare in seguito.

  13. Presentare l’opposto della propria tesi: presentare l’opposto della propria tesi in modo denigratorio, per far sì che l’avversario sia costretto a rifiutarlo.

  14. Dichiarare la vittoria: dopo che l’avversario ha risposto a molte domande senza peraltro giungere alla conclusione desiderata, dichiarare la vittoria con una buona dose di faccia tosta.

  15. Usare tesi apparentemente assurde: se la propria tesi è paradossale e non la si riesce a dimostrare, proporre all’avversario una tesi giusta ma non evidente; se questo la rifiuta condurlo ad absurdum e trionfare.

  16. Argomenti Ad hominem: cercare contraddizioni nelle affermazioni dell’avversario.

  17. Usare sottili distinzioni: se l’avversario incalza con una controprova, occorre trovare una sottile distinzione se la cosa consente un doppio significato.

  18. Mutatio controversiae: se c’è il rischio che l’avversario possa avere ragione, spostare l’argomento della disputa su altre questioni.

  19. Generalizzazione: se l’avversario sollecita ad esprimere un’opinione su un particolare, estrapolare l’universale ed opporsi a questo.

  20. Trarre conclusioni: se l’avversario ha concesso parte delle premesse, trarre la conclusione anche se le premesse sono incomplete.

  21. Controargomentazione: se l’avversario fa uso di un argomento solo apparente o sofistico, liquidarlo usando un controargomento altrettanto sofistico o apparente.

  22. Petitio principii : rigettare le premesse dell’avversario come petitio principii.

  23. Esagerazione: spingere l’avversario ad esagerare le proprie affermazioni e quindi confutarle.

  24. Forzare la consequenzialità: trarre a forza dalle affermazioni dell’avversario, con false deduzioni, tesi che non vi siano contenute (apagoge).

  25. Istanza o Exemplum in contrarium: l’apagoge si demolisce presentando un unico caso per cui il principio non è valido.

  26. Retorsio argumenti: l’argomento che l’avversario vuole usare a proprio vantaggio viene usato meglio contro di lui.

  27. Sfruttare l’ira dell’avversario: se di fronte a un certo argomento l’avversario si adira, insistere su quell’argomento, poiché è facilmente il punto debole del suo ragionamento.

  28. Argumentum ad auditores: funziona meglio quando persone colte disputano di fronte ad ascoltatori incolti. Avanzare un’obiezione non valida ma “spettacolare”, che richieda, per essere smentita, una lunga e noiosa disquisizione.

  29. Diversione: qualora l’avversario fosse sul punto di vincere la disputa cambiare completamente argomento e proseguire come se fosse pertinente alla questione e costituisse un argomento contro l’avversario.

  30. Argumentum ad verecundiam: invece che di motivazioni ci si appelli ad autorità rispettate dall’avversario.

  31. Dichiarazione di incompetenza: dichiararsi incompetenti per insinuare negli spettatori il dubbio che l’affermazione dell’avversario sia una cosa insensata.

  32. Denigrazione: per accantonare, o almeno rendere sospetta, un’affermazione dell’avversario ricondurla ad una categoria odiata dagli spettatori.

  33. “Vero in teoria, falso in pratica”: ammettere con questo sofisma le ragioni e tuttavia negarne le conseguenze.

  34. Incalzare l’avversario: se l’avversario si dimostra evasivo riguardo ad un argomento, incalzarlo su quell’argomento, poiché facilmente sarà uno dei suoi punti deboli.

  35. Argumentum ab utili: anziché agire sull’intelletto con il ragionamento, agire sulla volontà con motivazioni, dimostrando all’avversario che la sua opinione, se vera, non può recargli che danno.

  36. Sproloquiare: l’avversario rimarrà sconcertato e sbigottito da sproloqui privi di senso.

  37. Spacciare un argumentum ad hominem per uno ad rem: se l’avversario sceglie una cattiva prova a sostegno del suo argomento confutare la prova e passare questa confutazione come una confutazione all’intero argomento.

  38. Argumentum ad personam: come ultima risorsa diventare offensivi, oltraggiosi e grossolani.

 

Reference

Arthur Schopenhauer,“l’Arte di Ottenere Ragione”

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